11 febbraio 2012

I Templari a Spinazzola


Lo storico non si occupa solamente del vero, si occupa anche del falso quando sia stato creduto vero; si occupa anche dell’immaginario e del sogno. Soltanto, si rifiuta di confonderli”.
Antonio Carrabba, epigrafista ed appassionato cultore di archeologia e storia pugliese, con queste incisive espressioni, riprese da Alain Demurger, ha svelato lo spirito delle sue ricerche sulla presenza dell’Ordine dei Templari a Spinazzola.
Quale circostanza abbia indotto lo studioso ad occuparsi di tale argomento, a me non è dato sapere. Potrebbe essere stata la lettura di qualche pagina di storia o forse il consiglio di un amico. Potrebbe aver subito la suggestione della ricorrenza del nono centenario della prima crociata, degnamente celebrato anche in Puglia, o potrebbe essere stata la semplice ed irrefrenabile curiosità ad indurlo ad avvicinarsi alle vicende della famosa istituzione.
In ogni caso, una ricerca sulla presenza templare a Spinazzola andava compiuta non fosse altro che per riscattarla dalle immagini equivoche proiettate su di essa da quelle teorie che hanno tentato, e tentano, di accreditare l’esistenza di misteriosi collegamenti fra Castel del Monte ed i militi rossocrociati.
Non ritengo sia questa l’occasione per riprendere tali teorie, del resto abbastanza note. Lo è, invece, per richiamare l’attenzione sui pregi dell’opera di Carrabba, che segna una nuova tappa nello sviluppo della Templaristica italiana, la cui data convenzionale di fondazione viene indicata dagli specialisti nel 1636, anno di pubblicazione di una raccolta diplomatica dedicata da Antonino Amico alle fondazioni degli istituti gerosolimitani a Messina e nella Sicilia Orientale.
Di formazione giurisdizionalistica, Amico anticipò di alcuni decenni i fratelli Dupuy - i bibliotecari di Richelieu - nel trattare la vicenda templare sulla base dei documenti, ritenendo ormai insufficienti e fuorvianti le notizie raccolte e proposte sull’argomento dall’erudizione compilativa dell’età umanistica e rinascimentale.
Amico non ebbe fortuna, come quasi tutti i pionieri. Per oltre un secolo l’oblio avvolse la sua vita e per molti decenni nessuno avvertì in Italia la necessità di studiare i Templari con metodo sistematico e spirito filologico.


Dopo il 1789 nella nostra penisola si diffuse una vera e propria passione per i Templari, visti non già come appartenenti ad un ordine religioso, quale erano stati, ma come padri nobili, e molto improbabili, degli illuministi e dei giacobini, oltre che dei massoni.
Letterati, politici ed eruditi come Giovan Battista Biffi, Girolamo Tiraboschi, Amedeo Ponziglione, Angelo Fumagalli e Francesco Saverio Salfi presero ad occuparsi dei Templari o per desiderio di approfondire le proprie scelte latomistiche, per dimostrare le proprie competenze filologiche o per scagliare invettive politiche. Felice Parrilli, insigne giurista napoletano, lo fece perché incaricato da Francesco Antonio Cedronio, ricevitore e ministro presso “S. M. Siciliana” dell’Ordine di S. Giovanni, che aveva interesse a disporre dei titoli di provenienza templare degli immobili posseduti o rivendicati nel Regno di Napoli, abbandonata Malta a Napoleone e allo spirito dei tempi.
Parrilli era un valente giurista e svolse l’incarico con scrupolo e competenza. Si destreggiò con familiarità nelle sale dell’archivio della Regia Zecca, dal quale trasse, trascrivendoli, i documenti templari che interessavano il suo committente. Nel 1803 il lavoro era ultimato e Parrilli redasse un Reassunto dei testi più significativi fra quelli individuati.
Il testo, inedito e misconosciuto per quasi un secolo, fu valorizzato da Giovanni Guerrieri agli inizi del Novecento, pubblicandolo per ampi brani nel testo I Cavalieri Templari nel Regno di Sicilia”. Lo studioso salentino fece scuola. Tutti coloro i quali, a partire dagli anni venti del XX secolo, si sono accostati alla storia dei Templari a sud del Garigliano, hanno impostato i loro studi proprio sul lavoro di Guerrieri per la compiutezza della trattazione, la sobrietà dello stile, la dovizia dell’apparato erudito e, soprattutto, l’appendice documentaria, ricca di ventitré testi inediti.
Quasi tutti gli storici sanno che i lavori contengono elementi di precarietà. Non è mai esistita, infatti, una ricostruzione di fatti passati che sia restata immutata per più di una generazione. L’ignoranza o l’errore sono sempre stati in agguato e impostori, avendo scelto di occuparsi della vicenda umana, cioè della vicenda di esseri che sono imperfetti perché sbagliano, cioè commettono errori.
Anche Guerrieri era uno storico serio e, dunque, doveva essere ben consapevole della perfettibilità del suo lavoro, che si sarebbe rivelata tale quando le tecniche d’analisi dei testi templari sarebbero divenute sufficientemente affinate per poter individuare gli errori in essi contenuti o aggiornare l’interpretazione dei fatti narrati sulla scorta di nuove acquisizioni.
Uno dei documenti più importanti pubblicato da Guerrieri fu l’inventario dei beni posseduti dalla domus templare di Barletta in Basilicata; inventario redatto dal giudice Giovanni Cito di Melfi in occasione dell’inquisizione, cioè dell’inchiesta, condotta intorno all’ordine militare nel Regno di Napoli dal 1308 al 1311.
Da tale inventario risultava che l’istituto crociato agli inizi del XIV secolo era presente a Melfi, dove aveva un tenimento; a Venosa, dove aveva un palazzo ed alcune case con vigne e terreni annessi; a Forenza, dove aveva la chiesa di S. Martino dei Poveri; a Spinazzola, dove aveva la chiesa di S. Benedetto de nuce e la chiesa di S. Giovanni de castello.
Carrabba ha esaminato con attenzione il documento ed ha constatato che Giovanni Cito non censì tutti i beni templari di Basilicata, ma solo quelli della domus di Barletta, dalla quale evidentemente non dipendevano le chiese di S. Spirito di Matera, con il feudo di Picciano, e di S. Maria del Sepolcro di Potenza, sorta, secondo alcuni, nel 1266 ad opera degli stessi Templari. La circostanza costituirebbe, a parere di Carrabba, un indizio sufficientemente fondato per legittimare l’avvio del riesame di quanto sin qui accertato sul ruolo egemone, e centrale, svolto dalla domus templare di Barletta nell’ambito della organizzazione amministrativa dell’Ordine templare nel Regno di Napoli.
Condivido il suggerimento anche perché i più recenti orientamenti della Templaristica, purtroppo non pervenuti al generoso studioso essendosi manifestati dopo la sua morte, stanno riscrivendo la storia della domus templare barlettana.
Carrabba ha avuto ragione quando ha consigliato prudenza nel continuare a ritenere scontate le notizie sulla “antichità” della domus templare di Barletta, che, stando agli studi di Francesco Tommasi, potrebbe essere stata costituita solo verso la fine del XII secolo ed identificata, probabilmente, con quell’ecclesia sancti Leonardi di cui parlano gli atti dell’inquisizione, pubblicati a suo tempo da Schottmuller.
Non fu dunque Barletta il cuore primordiale dei Templari in Puglia ma Trani, dove i militi Templari si insediarono quasi contemporaneamente ai canonici templari e dove entrambi gli istituti crociati hanno lasciato un ricordo duraturo quanto può essere la capacità degli studiosi di lavorare, come Carrabba, con passione, intelligenza e metodo.

Fulvio Bramato
(Prefazione al testo)